I fiori del bosco mi hanno sempre trasmesso quel senso di fragilità che solo l’idea di calpestarli mi turba non poco. Fu quando dovetti andare a fare una passeggiata in Carso, accompagnata da un esperto, per raccogliere materiale utile per una trasmissione, che prestai maggior attenzione e mi vennero spiegate le “stagioni” del bosco. È come se ne esistesse qualcuna in più, è come se anche i passaggi tra una e l’altra fossero anch’essi ben definiti. Crochi primaverili, bucaneve, primule, campanellini, il dente di cane, gli ellebori e l’erba trinità, proprio come delle bellissime sentinelle annunciano l’arrivo della stagione più mite, sbucano lì dove i raggi del sole si infilano tra le chiome spoglie degli alberi.
La flora nemorale è quel nutrito gruppo di piante erbacee che trascorrono l’inverno negli organi sotterranei e prima di tutte le altre, colorano i nostri boschi che erano ormai da qualche tempo grigi e spogli.
Un attimo prima che avvenga il risveglio vegetativo della foresta, in quella delicata e sottile finestra temporale che va dalle prime giornate con clima mite fino alla chiusura delle chiome degli alberi, appaiono loro, le piante nemorali.
Esse crescono e fioriscono fintanto che la luce non verrà nuovamente oscurata dalle nuove foglie e allora la flora del sottobosco potrà dedicarsi pian piano alla maturazione dei frutti. La fioritura di queste piante costituisce il primo elegante ed autentico risveglio del bosco.
Foto © di Lucio Ulian